Friday, November 30, 2007

Voglia di casa



Sara' perche' oggi l'aria e' piu' frizzante, sara' perche'si avvicina il Natale, o forse solo perche' ogni tanto ti prende la nostalgia. Oggi ho voglia di casa, di montagna, del calore del fuoco nel camino sempre acceso, di un caffe' con le amiche di sempre, dei casunziei della nonna. Da piccola ricordo che la aiutavo a farli, il mio compito era quello di saldare i casunziei sigillando i bordi con i rebbi della forchetta. Oggi si usano metodi piu' veloci, magari si fanno con l'aiuto del raviolometro.....non so quell'attrezzo per tagliare i ravioli in serie, avete presente? pero' la ricetta e' rimasta la stessa:

Preparare la pasta all’uovo come al solito, 1 uovo per 100 gr di farina.
Per il ripieno:
Lessare separatamente delle rape (barbabietole rosse) e delle patate, passarle allo schiacciapatate e calcolare ¾ di peso di rape e ¼ di patate al netto. Io ho usato 450 gr di rape e 150 gr di patate.
In una padella far fondere un po’ di olio e burro, unire 1 cucchiaio raso di farina, mescolare finche’ imbiondisce, unirvi il composto di rape e patate e farlo asciugare, unendo sale, pepe, e una generosa spolverata di cannella e noce moscata.

Preparare i casunziei come si fa con i ravioli, dando loro la forma di mezzaluna (qui in foto sono quadrati, non esattamente tradizionali).
Farli cuocere per qualche minuto in acqua bollente salata, condirli con burro fuso, parmigiano e semi di papavero.

Monday, October 15, 2007

20 miglia, 3 anni dopo

Il percorso e' stato un po' diverso, le emozioni le stesse:

Ci siamo. Quel giorno segnato in rosso sul mio diario d’allenamento e’ ormai arrivato. Domani affrontero’ la sfida piu’ impegnativa a livello fisico a cui sia mai andata incontro. Venti miglia di fatica e dolore alle gambe, i polpacci irrigiditi dallo sforzo e la mente che oscilla di continuo tra la tentazione di mollare e la voglia di arrivare fino in fondo per poter assaporare il dolce senso di appagamento.
Quel numero, 20, scritto a caratteri cubitali. Tre mesi fa non ci avrei creduto. Tre mesi fa li consideravo dei pazzi, i maratoneti. Ma ora so che ce la posso fare e so di non essere diventata pazza. Li capisco, adesso. Dopo un po’ impari a distinguerli, li incontri mentre ti alleni e li riconosci dal fisico piu’ asciutto, dall’espressione orgogliosa e sofferente e dal sorriso di intesa che ti scambiano quando li incroci.
Cerco di non pensare alla fatica che mi attende; mentre mi preparo per andare a dormire mi concentro invece sui rituali che mi sono a poco a poco costruita e ricontrollo che tutto sia pronto per domani, la ginocchiera, le chiavi, la tessera dell’autobus, la bottiglia per l’acqua, la lozione al mentolo che mi ricorda quando da piccola avevo l’influenza e la mamma mi massaggiava con il Vixinex, mi rimboccava le coperte e mi regalava un senso di sicurezza accarezzandomi la fronte sudata. Ne avrei tanto bisogno, adesso.
Gli amici mi chiedono dei progressi, Allora quando parti per New York?, Che brava, io non ce la farei mai, Ma non sei stanca?, Forse l’anno prossimo mi iscrivo anche io. Ormai sono diventata quella della maratona, ma lo so che non capiscono fino in fondo. Io ho paura, sul serio. Proprio come stasera, mi capita spesso di oscillare tra la determinazione di un kamikaze e l’insicurezza del principiante. Ragionando a freddo l’idea di mollare non mi sfiora nemmeno: ho investito cosi’ tanto in questa avventura e ormai l’avvicinarsi della data fa aumentare la tensione e il desiderio di essere alla partenza insieme a migliaia di romantici, pero’ so che puo’ succedere, l’ho letto e l’ho sentito raccontare troppe volte. E’ questo che mi spaventa, sei li’ in mezzo alla strada con il cuore in mano e il tuo fisico ti abbandona all’improvviso, le forze svaniscono come vapore d’acqua bollente e la mente inizia a giocarti brutti scherzi. E’ il “muro”, lo spettro di tutti i maratoneti, ci sbatti contro senza preavviso come l’iceberg del Titanic e l’urto ti costringe irrimediabilmente a terra. Tre, quattro, cinque mesi di lavoro e di sacrifici, e tutto cio’ che ti resta e’ il sapore della delusione. No, no, no, non mi e’ possibile fallire.
Sono le 11, devo andare a letto. Mi preparo una tisana alle spezie e mi concedo ancora un po’ di relax, sfogliando una rivista nel silenzio della cucina vuota. Non riesco a concentrami, nemmmeno sugli articoli frivoli che parlano di moda e dei colori che andranno il prossimo autunno. Io li ho gia’ scelti i miei colori, una giacca contro il vento, rossa, e un paio di scarpe con il logo d’argento. Domani le usero’ per la prima volta, devo adattarle ai miei piedi con qualche settimana di anticipo, non posso piu’ aspettare. E’ gia’ un errore utilizzarle per la prima volta su una distanza cosi’ lunga. E che faccio se poi mi fanno male? Su, non ci devo pensare, la tisana e’ finita e ormai e’ quasi mezzanotte.
Salgo nella mia stanza e mi infilo nel letto. A luce spenta, mi ritrovo a fissare il soffitto mentre il vento da fuori si diverte a giocare con la mia impazienza e a tenere svegli gli spiriti inquieti come il mio. Comincio a sentire i segnali di allarme, da qualche giorno la schiena non mi da’ tregua e stasera non fa eccezione. Non riesco piu’ a stare supina, continuo a rigirarmi mentre rifletto sul sacrificio che sto per chiedere al mio corpo gia’ troppo asciutto. Poi mi passo una mano sul polpaccio nudo, lo tendo volontariamente e sorrido di soddisfazione nel sentire i muscoli cosi’ sviluppati. E pensare che una volta mi piacevano quelle gambe sottili e informi di certe modelle.
La finestra lascia entrare qualche spiffero, l’aria fredda tipica di questa citta’. Mentre cerco rifugio sotto le coperte, un brivido mi attraversa. Comincio a sentire la stanchezza, riesco a percepire i singoli muscoli del mio corpo che si abbandonano poco alla volta. Ora so che sara’ un’altra notte dolcissima, la fatica degli allenamenti quotidiani spesso ti fa questo regalo alla sera, la prima volta e’ giunto cosi’ inaspettato che mi sono sorpresa, mi sembrava di essere tornata bambina, quando il sonno era pesante, spensierato e senza fantasmi.
20 miglia, da casa al Golden Gate e ritorno, passando attraverso l’aria tiepida della Mission, i senzatetto del Civic Center e i joggers dell’Embarcadero, giu’ fino ai turisti divertiti di Fisherman’s Warf e la nebbia fredda della Marina. Ripassando mentalmente il percorso, sento che ce la posso fare, domani sera saro’ una persona diversa, piu’ forte e piu’ orgogliosa, e da domani la strada sara’ in discesa. Sentendomi finalmente rilassata, sorrido e mi addormento.
Mercoledi’ 13 ottobre 2004

Wednesday, May 30, 2007

I bigne' di Tonolo, il gelato al Doge, la manina a colazione


...ovvero tutto cio' che procurava GI, Goduria Intensa.

Tonolo era un'istituzione per il popolo studentesco di Venezia, il premio e insieme il pegno da pagare agli amici per aver superato l'esame, una difficile scelta tra top 3 (crema pasticcera, crema caffe' o crema cioccolato?), la tappa obbligatoria nei pomeriggi di nebbia all'uscita da Ca' Foscari. Tonolo univa in un coro unanime futuri architetti, latinisti, dirigenti d'azienda, topi di biblioteca, archeologi, commercialisti, biologi marini, insegnanti di lettere, matematici e aspiranti giornalisti. Ogni discussione cessava di fronte a ai suoi bigne e alle sue frittelle veneziane.

Il gelato no, altra storia. Qui il popolo si divideva e con l'arrivo della primavera si andava a caccia di Godurie Intense per strade diverse. C'era chi sceglieva Tarcisio, proprio di fronte alla Basilica dei Frari, e chi sceglieva il Doge, in Campo Santa Margherita. O l'uno o l'altro, niente compromessi. Io andavo in Campo e solo qualche anno piu' tardi, quando ormai della vita da studente era rimato solamente un bellissimo ricordo, ho voluto dare a Tarcisio una seconda chance. Oggi non saprei, purtroppo non metto piede sul suolo veneziano da molto tempo. Forse pero' farei nocciola da Tarci e panna cotta al Doge. E poi, immancabile, un cappuccio o uno spritz (dipende dall'ora) seduta all'aperto in uno dei tavolini del Duchamp, a leggere il giornale del sabato e a fare un po' di sano people watching.

La scoperta della manina la devo alla mia amica Michela, compagna di corso, compagna di stanza e compagna di esperimenti culinari. Quando fuori le sirene urlavano l'arrivo dell'acqua alta e in casa gli spifferi di vento attraverso le finestre rendevano inutile e ridicola la vecchia stufa a gas, quando l'esame era vicino e ormai non si poteva fare altro che sperare nell'affidabilita' della regola basket (vedi nota in calce), era la manina a riaccendere le speranze, lei cosi' calda, burrosa e gonfia di crema. E a riappacificarti col mondo c'era il fatto che proprio li', nel panificio sotto casa, vendevano la manina piu' buona di tutta la laguna. Solo una rampa di scale, non serviva nemmeno indossare le scarpe. "Oggi vai tu"? ci si domandava appena svegli. Il tempo di fare un caffe'.

Regola Basket: se il numero di pagine che restano da studiare per l'esame e' uguale o inferiore al numero di giorni che mancano all'esame stesso moltiplicato per 10, sei OK; altrimenti, sei fottuto!